È nato prima l’uovo o l’artista?

Dopo settimane fatte di ore e chilometri trascorsi dentro pullman dai sedili sgangherati, avevo finalmente deciso di regalarmi una domenica di relax: costume, telo da mare, libro e spiaggia. Eppure nei miei pensieri le vacanze le organizzo davvero bene, poi qualcosa va storto. Puntualmente arrivano gli amici che pensano che per la vita sedentaria (?) ci sia ancora tempo. E allora anche questa domenica l’unica distesa blu che ho visto è il cielo, e lo stesso colore della sabbia l’ho ritrovato negli infiniti campi di grano.

[un minuto di silenzio per il cervello bruciato dei piromani: sulla 131, all’altezza di Oristano, era tutto carbonizzato]

Opera di Andrea Cascìu

La zona in cui eravamo diretti – a braccio, perché sta scritto: il navigatore non è mai attendibile – era quella del Parteolla. Dove fanno il vino buono, per intenderci. Comunque il vino non c’entra nulla col discorso: è che mi piace prendere gli argomenti a partire dal Medioevo, ve ne sarete accorti.

Dopo una serie di chilometri a casaccio, per la gioia di benzinai e gommisti, siamo finalmente arrivati a Ussana con una temperatura esterna di circa 40°: perché a noi piace muoverci col fresco.
Siamo stati ospiti per una giornata intera di “Campidarte”: una famiglia allargatissima che comprende padri, madri, figli, ziòddi (vecchietti) del paese, artisti sardi e milanesi, due cani, un gattino e temo anche qualche pulce.

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In mezzo a un nulla accecante di giallo, quattro capannoni e una decina di vasche da bagno colorate.

Sembra un film di Kusturica, mancano solo le oche. Di pulcini, invece, ce n’erano centinaia fino a qualche anno fa, in questi quattro capannoni di mille metri. Poi sono arrivati tre giovani designers, uno sardo (Giorgio Deplano) e due lombardi (Alberto Brancaleon e Giampiero Bernazzani) e l’hanno trasformato in un originale e accogliente polo artistico.

[il primo che fa la battuta pulcini-pollo artistico sarà bannato!]

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Si tratta di un progetto di riutilizzo e riqualificazione di uno spazio industriale che dovrebbe fare scuola, in una terra che è stata allattata da mammelle di mucche e ciminiere non propriamente nutrienti. L’obbiettivo di Giorgio, Alberto e Giampiero è quello di “reinterpretare gli oggetti trasformandoli in qualcosa di nuovo attraverso una creatività diversa, artigianale, fuori dagli schemi della produzione meccanica di massa, restituendo loro nuova vita e nuove funzioni” e pare ci siano riusciti.
Dopo aver ripulito i capannoni (quattromila metri in tutto) hanno riutilizzato parte dell’attrezzatura dell’azienda avicola e l’hanno riciclata, donandogli una vita nuova e completamente diversa dalla precedente. Le mangiatoie sono diventate eleganti lampade, i faretti singolari portacenere, le balle di fieno poltrone e divani, i cartoni per le uova rivestono il soffitto, il silos ora è un’enorme balena, le cassette che ospitavano le galline sono diventate librerie e comodini.
All’interno dei capannoni sono stati predisposti spazi per conferenze, proiezioni, installazioni artistiche, concerti e addirittura matrimoni.
Sì, effettivamente sarebbe il set ideale per uno dei film di Kusturica.

 

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C’è anche un angolo bar che all’occasione diventa angolo cottura e non nel senso sardo del termine (cottura = ubriachezza).

Proprio quella è stata la prima tappa del nostro tour: neanche il tempo di ambientarci che ci siamo ritrovati a mangiare salsiccia di San Sperate e impastare pellizzas con la farina (donata da due produttori di Ussana e Senorbì). Cosa sono le pellizzas fatevelo spiegare dal mio amico chef Piero Careddu, che io sono brava solo a mangiare.

Quasi contemporaneamente è partita la passeggiata guidata nei terreni di Campidarte con un esperto raccoglitore di erbe spontanee. Spero. Che sia esperto, non che siano spontanee. Perché credo di averle assaggiate tutte.
Il pranzo infatti consisteva in diversi piatti di pellizzas (impastata e cucinata direttamente da ospiti e ospitanti) condita con le erbe spontanee raccolte poco prima e con le verdure dell’orto di Campidarte. A bagnare il tutto, vino come se piovesse e sangria con le pesche di San Sperate. Raccogliere, impastare, cucinare insieme e poi mangiare accanto ad amici e sconosciuti è un’esperienza che dovremmo fare più spesso: aiuta a capire i caratteri, gli stili di vita e ad affinare la sopportazione verso i zioddi che masticano rumorosamente con la bocca aperta e si sciacquano la bocca col vino di Dolianova.

Ciliegina (sotto spirito) di questa giornata, l’installazione artistica di Edoardo Tedde, “Regoltu e Candela”, che “prende spunto dalle recenti vicende del nuovo piano industriale di Porto Torres, ma si allarga a un dibattito molto più vasto, quello sulla green energy (e le sue contraddizioni), che sta interessando diverse parti del mondo”. Edoardo, giovane artista sassarese, è stato ospite di Campidarte per un mese, a contatto con gli abitanti di Ussana e in particolare con il mondo agropastorale. Perché uno che arriva in paese con un bustone nero e inizia a raccogliere l’immondizia per strada e la trasforma in arte, non si può non adottare.

Complimenti ai ragazzi di Campidarte che hanno concretizzato uno degli insegnamenti migliori di Fabrizio De André: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.

Andate a trovarli, ospitateli, fategli interviste. Li trovate qua: http://www.campidarte.com

 

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