“Allora, bambini: a maggio si ara il campo, a giugno si fa la mietitura e si fanno le balle di fieno”, spiega la maestra.
Risate generali.
“Bambini: perché state ridendo?”, chiede, risentita, la maestra.
[secondo te?!?]
“Maè: hai detto una parolaccia!”.
“Ma cosa state dicendo: io non dico parolacce! Ho mai detto una parolaccia, forse?”.
“No…”.
“Ho detto balle di fieno!”.
I bambini squittivano all’inverosimile, ridendo a più non posso.
“Smettetela! Non c’è proprio niente da ridere, vero, maestra Silvia?”.
Io, sappiatelo, vorrei salvare la faccia e dirvi che ero serissima, ma non ce la faccio a mentirvi. Ero piegata in due dalle risate, a vedere i bambini che ridevano tenendosi le mani sul pancino.
“Ci sono anche le rotoballe”, continuava imperterrita la maestra, non ancora pienamente cosciente di quello che stava provocando.
“Cos’avete da ridere? Le rotoballe sono le balle tonde!”.
E giù a ridere il doppio di prima.
“E ora non vi azzardate ad andare a dire ai vostri genitori che la maestra dice parolacce!”.
“Ma è una parolaccia, maè!”.
“No! io non dico parolacce! Ora vi racconto una storia che sembra una barzelletta e invece è successa davvero qua vicino…anzi, no: non ve la dico se no andate in giro a raccontarla…”.
“Sììììì”, abbiamo protestato in coro, io e i miei bambini.
“Allora…tanto tempo fa un bambino (nome e cognome) andò con suo padre (nome e cognome) nel campo dello zio (nome e cognome), che era un agricoltore e aveva tante balle di fieno. Arrivati nel campo, c’era una grossa distesa e il bambino, guardandola, urlò al padre: ‘Babbo, guarda: le balle di zio Michele!”
E vabbé: allora se le cerca.
Io avevo le lacrime e mi contorcevo, seduta dietro il banchino con Biondolo che emetteva i suoi soliti latrati da pincher nano contento.
“Basta, ridere, bambini! Andiamo avanti! Questa a pagina 20, è la crusca”.
“Maestra: mia mamma glielo dice sempre a mio babbo, che ha la crusca nel cervello!”.
(da “Maestra del mio quor”, Silvia Sanna, Caracò)