La donna degli alberi

Non ha nome né età, non ha un passato da offrire se non quello di un’infanzia lontana, dai colori tenui della nostalgia. Ed è quel passato a farle compagnia – dolce e amaro insieme – nelle giornate segnate dai tempi del bosco, in quella baita che è stata culla d’amore bambino. C’è un dolore che si fa crepa dentro e da quella ferita una nuova vita è pronta a schiudersi, come la caparbia bellezza del bucaneve. La donna si rincorre tra le pieghe delle stagioni, rifugiandosi nel Monte per rifugiarsi in se stessa. Attorno a lei sconosciuti senza nome né passato, ma con un presente vivido fatto di sogni e neve, silenzi e tracce di solitudine tra i sentieri del bosco. Questo è un libro sulla solitudine che si riempie di presenze in un percorso interiore fatto di lunghe passeggiate nel bosco, scarponi lisi dalle rocce, mani rugose che si intrecciano e accarezzano volpi. È una salita e una discesa alla ricerca di un amore che non ha necessariamente un volto o un nome che lo rappresenti. Entrando nella storia, seguendo le impronte della donna sulla neve, le risate cristalline che echeggiano verso valle e gli odori del sottobosco, i lettori si rivedono nel suo dolore – anch’esso senza nome – e camminano con lei sentendo la fatica della rinascita, i tonfi della caduta, la gioia del rimettersi in piedi e la paura di perdersi e non ritrovarsi mai più. Una narrazione che è un elogio alla lentezza, alla “poesia del minuscolo”, la ricerca della bellezza nelle piccole cose: un’eco nel vento, il frullo degli uccelli, le foglie stropicciate sulla terra, un tramonto che si scioglie sulle montagne. Il libro di Lorenzo Marone si fa poesia rigo dopo rigo, costringendoci a rallentare il passo e sentire il profumo del bosco, il caldo di un fuoco che arde e il richiamo del gufo che segna una strada accidentata che aspetta solo di essere percorsa.

“La donna degli alberi”, Lorenzo Marone, Feltrinelli

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